Ritorno

Riscopro questo blog, e rimango sorpreso dalla mia scrittura, ma soprattutto dai ricordi cristallizzati e che invece nella mia mente erano già sbiaditi, se non totalmente persi.

Ecco questo conservare, mantenere ricordi che altrimenti perderei mi attira di nuovo qui. E mi affascina anche questo ascoltare ricordi miei con un’altra voce mia, un mia scrittura che avevo dimenticato anche che fosse possibile.

E quindi qui, voglio tornare, dopo gli anni profondi di ubriacatura da social network, ora che si spera questa ubriacatura stia piano piano scemando, lasciando solo i postumi della sbronza. La dipendenza dalla novità, la scarsa capacità di concentrazione per testi più lunghi di x caratteri, la consumazione compulsiva di immagini o video e l’anestesia mentale.

Ancora stamattina mi sono annichilito una mezzora con video di gattini.

Passeggiando per i boschi

Come sempre la sveglia ti tradisce nel momento più importante.
L’appuntamento con Valerio è per le 6.45, sveglia, colazione e poi si corre su a Giaglione per portare le bandiere e partecipare alla prima organizzazione.
Ovviamente il mio cellulare mi tradisce e Valerio dopo aver aspettato mezz’ora decide di svegliarmi.
Salto fuori dal letto mi vesto in tutta fretta e sono pronto a partire.
Saltiamo in macchina, con bandiere, striscioni e zainetto con il cibo.
Tutta la famiglia è mobilitata.Antonella e Marco, compagna e figlio di Valerio, partono con noi sull’altra macchina.
Matteo ci raggiungerà più tardi, non sta molto bene.
Antonella ha pensato bene di organizzare una castagnata.
Arrostire le castagne sulla piazza di Giaglione ed offrirle gratuitamente ai manifestantimentre si aspetta la partenza del corteo.
Arriviamo in piazza e subito Valerio, con la sua solita energia, anche se è mattina presto,inizia ad organizzare bandiere e striscioni.
Tiriamo giù dalla macchina tutto l’occorrente per arrostire le castagne ed anche la legna.
Accendiamo la brace che viene poi affidata a Marco, il nostro addetto fuochista.
Svolti questi compiti urgenti, mi guardo intorno.
Noto solo adesso la quantità di furgoni di varie testate nazionali ed estere,tutti con parabolone e traboccanti di cavi e telecamere.
I tecnici stanno allestendo le telecamere e i riflettori per gli inviati di SkyTg24, RaiNews, RaiUno, CorriereTv, RepubblicaTv, c’è persino un inviato di RSI.ch la radio della svizzera italiana.
Sono curioso di vedere fino a dove potremo spingerci con la manifestazionee quindi mi incammino sulla, ormai familiare, strada verso la baita clarea.
Raggiungo le frazioni di San Giovanni e San Rocco.Secondo l’ultima ordinanza del prefetto, dopo queste ultime case inizia la zona rossa, proprio dove iniziano le vigne.
Ovviamente non c’è nessuno a far rispettare l’ordinanza, ci sono semmai i contadini che nei loro campi continuano a lavorare indifferenti al circo mediatico e alle zone rosse.
Incontro pochi attivisti che avvolti nelle loro bandiere NoTav, come se li riparassero dal freddo pungente,sono andati in esplorazione sulla strada.
Sono i primi ad aver violato la zona rossa.
Continuo a camminare, ora da solo, in un silenzio ovattato.La giornata è grigia e fredda e questo rende ancora più irreale la situazione.
Presto le vigne lasciano il posto al bosco e fra poco dovrebbe esserci la vera e propria recinzioneche delimita la zona rossa effettivamente invalicabile.
Me la aspetto ad ogni curva della strada, con un po’ di paura anche, ma ancora non la incontro.
Incontro invece un signore che, sorridente, con la sua barba grigia torna dal suo jogging mattutino.
Gli chiedo dove sia la barriera, fra qualche curva risponde lui.
E mi fa capire che non è contento della cosa: “Mi hanno rovinato l’allenamento stamattina,devo tornare indietro prima”.
I valsusini sono così, difendono la loro Valle anche con questi gesti: non rinunciano alla loro quotidianità,alle loro abitudini, anche quando mezza Italia, se non di più, ha gli occhi puntati su di loro.
Anche se in piazza ci sono televisioni da mezza europa che aspettano gli scontri e il sangue.
Il signore continua la sua corsetta, tornando verso Giaglione.
Faccio ancora un paio di curve e finalmente vedo la rete, con dietro delle figure scure.
Non mi faccio vedere, anzi giro i tacchi e me ne vado, non scatto nemmeno una foto.
Sono da solo ed in piena zona rossa e non ho la faccia da valsusino, sarò fifone, ma non mi fido di loro.
Rifaccio di nuovo la strada a piedi verso Giaglione, e poche curve prima di arrivare,capisco che in poco tempo qualcosa è cambiato.
Giro l’angolo, guardo dove prima i miei amici arrostivano castagne e la piazza è scomparsa.
Nel tempo della mia passeggiata, la piazza è stata sommersa da una marea di gente.
Bandiere NoTav fanno da spuma a questo mare di persone e già si capisce che fannofatica a stare tutte assieme nella piazza.
Cerco di ritrovare i miei “caldarrostai”, ma faccio davvero fatica ad attraversare la folla.
Si vede gente di tutti i tipi e si inizia a sentire la musica.
Tutti diversi, ma tutti accomunati da una bandiera o da un simbolo NoTav attaccato al pile.
Raggiungo finalmente l’angolo caldarroste, preso d’assedio dai manifestanti,che increduli ricevono le castagne in omaggio, quando pensavano di pagarle.
Inizio a dare una mano nella distribuzione delle caldarroste, ovviamente dando una mano anche nel consumarle.
Così conosco Christian un amico di Antonella e Valerio, che sta aiutando Marco e Antonella nella distribuzione delle caldarroste e nello svuotare il cilindro dalle castagne già ben cotte.
Cerco di imparare a fare dei cartocci per le castagne da dare, ma non sarò mai un bravo caldarrostaio.
La gente continua ad aumentare e si capisce subito che, se si continua così, non entreremo più nella piazza.
Arriva il sindaco, credo di Giaglione, che offre il campo da calcio proprio di frontela piazza per far defluire la gente.
Tutta quella gente crea non pochi problemi ai residenti che magari vogliono uscire di casa in macchina.
Alberto Perino prende il megafono e cerca di convincere la massa a spostarsi nel vicino campo sportivo.
Non ci riesce a pieno, sarà per gli stand mangerecci che i volontari hanno approntato in tempo record.
Alla fine arriva l’orario di partenza, le undici e trenta.
Alzo lo sguardo verso la strada che va alla rete, e vendo un lungo serpente di gente che già l’ha occupata, mentre il campo è quasi pieno e la piazza ancora non ne vuole sapere di svuotarsi.
Il corteo si muove davvero lento, c’è tantissima gente che non entra sulla stradina di campagnapensata a dare accesso ai campi e trasformata in un viale per le sfilate.
Ci mettiamo in cammino anche noi e con passo lento e dopo un po’ di tempo, arriviamo alle case delle frazioni di San Rocco e di San Giovanni.
Il flusso del corteo viene compresso fra le vecchie case dei borghetti.Sembra quasi voler straripare e trascinarle via, ma in realtà quel fiume è lì per difenderlequelle vecchie case, fatte ancora secondo i criteri della montagna.
La strada attraversa di nuovo poi le vigne e si arriva ad un bivio segnato da un’edicola votiva con una madonnina.
Continuando sulla strada si arriva alla rete, girando a destra e salendo si aggira dall’alto la rete.
Parliamo un po’ con i miei compagni di passeggiata, Marco un amico di Valerio, sua moglie e sua figlia, loro decidono di salire, li seguo.
Iniziamo a salire prima fra le vigne e poi entriamo nel castagneto.
Il sentiero non è facile nemmeno per me, che comunque ho qualche esperienza escursionistica,ma mi guardo attorno e vedo gente di tutte le età arrampicarsi decisa.
Mi colpisce una signora che pur in evidente difficoltà non molla.
Il castagneto ci garantisce un sentiero che continua in piano a mezza costa, in alcuni punti però ci costringe a passaggi complicati.
Non ero abituato a camminare su sentieri di montagna con così tante persone.
C’è da aspettare che tutti superino il passaggi, si sta parecchio fermi sul posto e si avanza lentamente.
Questo mi da la possibilità di guardarmi attorno e godermi la bellezza del paesaggio.
Purtroppo però ormai da quando abbiamo lasciato la piazza ci segue con insistenza un elicottero, che non ci molla.
Il suo rumore continuo all’inizio sorprende, poi diventa fastidioso e continuo sottofondo.
Entrare nel folto del castagneto e poi del boschi, da il piccolo piacere di celarsi allo sguardo insistentedi questa zanzara che ci ronza sulla testa.
Entrati nel bosco il sentiero procede a tratti pianeggianti e a salti improvvisi.
Nei salti improvvisi viene fuori la solidarietà della comitiva.
Siamo in tanti e non tutti possono superare quei passaggi scivolosi, alcuni non hanno nemmeno scarpe adatte.
Così chi è più esperto s’organizza a dare una mano agli altri.
In questo modo, anche se lentamente, tutti riesco ad avanzare.
Il sentiero, raggiungendo degli antichi muretti a secco, diventa più praticabile.
Mi chiedo a cosa servissero questi muretti, che somigliano più a dei canali di pietra in mezzo al bosco.
Lo scopro più avanti. Arriviamo, infatti, ad un gruppo di quattro case antiche in pietra, ormai abbandonate.
I muretti a secco segnavano le mulattiere che portavano al borghetto ormai in completo abbandono.
Marco mi fa riflettere su come fosse dura la vita lì, e come solo la disperazione possa aver portato quegli antichi abitanti a vivere di patate e castagne, in un bosco così in alto e così lontano dal resto della Valle.
Alla nostra sinistra iniziamo ad intravedere il Rio Clarea, il torrente che da il nome alla valle che abbiamo finalmente raggiunto.
In fondo a questa valle, c’è il ponte sul Rio Clarea e al di là del ponte c’è la Baita Clarea.
Dalle case antiche il sentiero inizia a scendere lentamente verso l’inizio della valle, ma la nostra destinazione è all’opposto.
Si decide quindi di abbandonare il sentiero principale e di scendere il più possibile diritti verso il torrente.
La decisione non è stata presa da nessuno in particolare semplicemente il serpente di persone si muove come se avesse una sua intelligenza e una sua conoscenza del territorio.
La discesa è parecchio ripida, ci aiuta una leggera traccia che attraversa il bosco,ma che non si può chiamare sentiero.
Così c’è chi per scendere si affida ai propri scarponi, c’è chi si affida al proprio fondoschiena.
In un modo o nell’altro arriviamo finalmente alle sponde del torrente.
Adesso possiamo seguire due sentieri, uno che scende alla sinistra del torrente.
Seguendo questo sentiero, ci troveremmo dal lato opposto alla baita, rispetto al ponte.
Oppure potremmo guadare il torrente e raggiungere direttamente la baita scendendo alla destra del torrente.
Tanti scelgono di guadare, ognuno nel punto che preferisce e come meglio preferisce.
Le rocce bianche si popolano di gente che attraversano il torrente.
Come sempre c’è chi spedito salta da una roccia ad un’altra, c’è chi invece si affida all’aiuto dei più esperti.
In ogni caso, tutti determinati ad arrivare alla baita.
Alla fine ci ritroviamo in tanti sull’altro lato del Rio Clarea.
Ma qui siamo in così tanti che restiamo bloccati nel traffico umano di questo stretto sentiero.
Facendo qualche passo e poi aspettando in piedi il tempo passa.
Ormai sono quasi le quattro del pomeriggio.
Lo stare fermi aspettando che il traffico di gente defluisca inizia ad innervosirmi.
Cerco di distrarmi scherzando e parlando con chi mi è attorno.
Ad un tratto sento il mio cellulare squillare, è Valerio.
Valerio, mentre io passeggiavo, è stato scelto assieme ad altre 15 persone, come osservatore neutrale dentro la zona rossa.
Mi chiama, e mi dice: “Venite giù al ponte, è tutto tranquillo, venite.”
Fosse facile, siamo in tanti e tutti imbottigliati sul sentiero.
Alla fine un po’ di gente sceglie di usare il letto del torrente come sentiero.
E si riesce un po’ a camminare.
In questo momento improvvisamente si sentono prima urla e poi applausi, venire da lontano.
Deve essere successo qualcosa ma non si capisce bene cosa.
Dopo alcuni minuti, passati ancora in attesa che l’ingorgo defluisca, arriva il suono di una sirena.
Ma non è una sirena qualsiasi, è la sirena dei NoTav, è il segnale.
Il segnale per cosa? Per avvicinarsi alle reti? Per tornare indietro?
Non lo capiamo bene.
Marco chiama l’altro Marco, un altro nostro amico scelto come osservatore.
E Marco ci dice: “Venite giù la manifestazione è finita!”.
Diamo inizio al passaparola, ed assieme al passaparola, si scioglie l’ingorgo.
Tutti iniziano a cercare una strada propria per arrivare alla baita clarea.
Anche noi accelleriamo il passo.
Iniziamo a vedere finalmente il ponte, ed è pieno di opliti scuro vestiti.
Accelleriamo ancora di più, siamo scesi nel letto del torrente per far prima.
Arriviamo a vedere il ponte e i poliziotti e carabinieri che lo presidiano.
Sono accerchiati.
C’è gente da entrambe le sponde del torrente.
E dalla baita arriva il frastuono tipico di una festa, voci, musica, applausi, risate.
Marco si apre in un sorriso incredulo, ma soddisfatto.
Arriviamo su un balzo del terreno alla destra del torrente e che domina il ponte dall’alto.
Ad un tratto tutta la tensione montata, costruita ad arte per tutta una settimana si scioglie, in un grido.
Unooo…Dueeee….Treeeee…..A sarà duuuura!
Marco grida a squarciagola su quei caschi, neri e blu, assediati da una marea pacifica di manifestanti.
La marea risponde a tono: “Per lorooooo!!!”.
E’ una liberazione. Una liberazione dal dubbio, dalla paura, che la giostra mediatica era riuscita ad iniettare un po’ nel cuore di tutti.
Scendiamo dalla nostra rupe del grido, ed entriamo nel villaggio di Asterisk&Obelix.
Che oggi sembra davvero un antico villaggio in festa.
Una marea di gente, che ride, che s’abbraccia, che è commossa, che è incredula.
Sembra la fiera di un antico villaggio medievale.
Arriva dall’altra parte del villaggio il suono dei tamburi, dalla direzione dove sono le vere reti.
Quelle che andavano tagliate.
Ci avviciniamo, attirati, dal suono ritmato dei tamburi.
Troviamo un manipolo di poliziotti in assetto antisommossa che blocca la strada per le reti.
Ma davanti a loro, a sfidarli, l’orchestra di tamburi che ci ha attirato fin lì.
E dietro i tamburi tutta la gente a fare pressione con la sola loro presenza.
Hanno perso.
Volevano lo scontro, volevano il sangue.
Per fare questo, all’ultimo momento, avevano esteso la zona rossa,per spaventare, per far desistere, perché quel giorno venissero in pocchi.
Si sono ritrovati assediati da almeno 20mila persone, che sono sbucate fuori dal bosco, da ogni direzione.
Quando hanno capito che la gente era così tanta, hanno scelto la linea morbida.
Hanno accettato che la zona rossa fosse violata, almeno 20mila persone hanno violato un’ordinanzafirmata dal prefetto, rendendola inutile, vana, ridicola.
La forza della disobbedienza civile.
Una forza così sicura di sé da sapere anche quando fermarsi.
Le reti non sono state tagliate, non era più necessario, era stato un segnale più forte.
Torniamo a Giaglione dalla strada normale, che era stata sbarrata e che ora è stata liberata.
Attraversiamo il ponte fra due ali di cellerini, tutti con un sorriso forte, un sorriso di vittoria.
Mentre loro sono scuri in faccia, masticano duro, qualcuno dice: “Forza forza che siete gli ultimi”.
Ci provano ancora a far paura.
Forse non sa ancora quanta gente ancora sta venendo fuori dai boschi.
O forse l’ha capito, e cerca di farsi coraggio.

Un venerdì in giro per la Val Susa

Ho seguito durante tutta la giornata il mio ospite, Valerio. Valerio è un attivista NoTav da ormai 22 anni e a guardarlo bene più che un blecche blocche sembra un elegante lord inglese. La prima uscita in Valle è stata monopolizzata dai media. Come già detto molti giornalisti si trovano in valle e tanti voglio fare servizi. Per dare l’idea del livello di attenzione mediatica: ieri in Valle c’erano giornalisti di: Report, Ballarò, Agorà e perfino una diretta di Italia sul Due e oggi è arrivata Sky per delle dirette. Prima tappa dell’uscita è stata la diretta di Italia sul Due. Stranamente anche questa strampalata trasmissione di gossip attualità presta attenzione alle vicende della Valle, ben venga. Infatti gli attivisti NoTav hanno colto l’occasione per dimostrare le loro reali intenzioni: Manifestare pacificamente con i metodi della disobbedienza civile. Finita la diretta di Italia sul Due, Valerio è stato ricontattato per accompagnare una troupe di Agorà. L’appuntamento con la troupe è a Ramats. Un borgo di Chiomonte proprio sopra il fortino dove dovrebbe sorgere il cantiere. A così poca distanza dallo scempio di fili spinati e blindati afghani, si riesce a cogliere uno scorcio dell’antica vita che si svolgeva in Valle. A Ramats ancora sono rimasti in pochi soprattutto anziani, che ancora continuano a coltivare i pochi metri di terra strappati al bosco e alle rocce. La roccia è la vera anima del borgo: Una roccia grigia dalle linee nette ed affilate. Questa roccia è dappertutto, ci si sono fatte le case, le strade, le stalle e i lavatoi antichi. In un giardino mi imbatto addirittura in un presepe in roccia, un modellino del paese che ogni anno per natale viene allestito come un presepe. Ramats è anche un balcone sulla Valle e su Chiomonte in particolare. Su questo panorama ci affacciamo da un bel prato. L’aria è pungente, facciamo tutti un po’ fatica. Tranne ovviamente i valsusini che continuano imperterriti a spiegare al giornalista dove vorrebbero far passare il TAV, quali montagne dovrebbero essere bucate e soprattutto perché loro sono così contrari a questo progetto. Una signora NoTav di Ramats ci ha accompagnato sul prato e mi racconta un po’ cosa è successo il 3 Luglio qui a Ramats. Mi racconta di esser tornata a casa, trovandola piena di gente che non conosceva. Suo marito aveva visto la gente in difficoltà venire su dal fortino scappando per i sentieri irti, ed ha subito deciso di accoglierli. Per come poteva ha medicato i feriti ed ha offerto dei cioccolatini a chi arriva stremato dalla fuga in salita. La signora si è data subito da fare seguendo l’esempio del marito. Le chiedo un po’ di come era la Valle prima, della modernizzazione forzata, prima dello scempio dell’autostrada e poi delle proteste NoTav. Mi racconta un po’ di come viveva la gente. C’era chi viveva lavorando soprattutto con l’antica centraleidroelettrica, quella che adesso è occupata dai Lince appena tornati dall’Afghanistan. Qualcuno lavorava alla ferrovia. Ma soprattutto tutti avevano un pezzo di vigna e di campo con cui riuscivano a vivere, certo in modo non facile. Le vigne per Ramats sono molto importanti, decorano anche il panorama della Valle guardando giù verso Chiomonte. L’acqua per le vigne, mi racconta la signora, viene da lontano geograficamente ma anche storicamente. Un abitante di Ramats, Romean, nel ‘500 decise di scavare un cunicolo per portare a Ramats le acque dal massiccio del Ambin che fa da spartiacque fra Italia e Francia. Ramats, quindi, ha una sua storia e tutto il territorio circostante. Del resto il museo archeologico e gli scavi archeologici sono proprio sotto di noi, dentro il fortino. Purtroppo però sia il museo sia gli scavi sono stati vandalizzati dalle truppe di occupazione. Gli scavi archeologici, in particolare, hanno subito lo sfregio dei cingolati e dei blindati, ci sono bellamente passati sopra. Guardiamo ora dall’alto il fortino con tutti i furgoni della polizia e come si muovono all’interno del loro fortino. Si decide di andarle a guardarle da vicino le reti e i fili spinati. Ci dirigiamo verso la baita Clarea, il presidio più vicino alle reti. Prendiamo la strada statale 24 per tornare a Susa e poi salire verso Giaglione. Questo percorso semplice quotidiano per tutti gli abitanti della valle, è fitto di posti di blocco. Ben 5 posti di blocco da entrambi i lati della strada in soli 10km di percorso. Lasciamo la statale e prendiamo una sterrata per arrivare alla baita Clarea. L’ultima parte della sterrata la percorriamo a piedi, ed improvvisamente arriviamo al villagio di Asterix&Obelix. C’è la palizzata in legno, c’è il ponte levatoio in legno, ma soprattutto ci sono le case sugli alberi. Lì abitano e passano la notte quelli che hanno il coraggio di rimanere a stretto contatto con il fortino. Scopro che ci sono dei turni di presidio ben precisi: comitati da tutta la Valle si alternano a presidiare il villaggio di Asterix&Obelix. Riprodurre qui un villaggio celtico da cartone animato ovviamente non ha significati militari, ma tutto è molto scenografico ed ironico. Superiamo il villaggio e seguendo la sterrata arriviamo alle famigerate reti. La prima cosa che salta agli occhi è il blindato cingolato dell’esercito tenuto un po’ disparte ma ben visibile. Qui vicino alla rete, gli attivisti hanno creato una baracca, l’estremo presidio. Dall’altra parte della rete: blindati, poliziotti ma nessun operaio e nessun cantiere. Scende il buio e decidiamo di tornare a casa.